Le luci e le ombre del fuoco e lo schiocco dei ciocchi nel camino rendevano la serata di quelle romantiche, come simonhe evidenziata accarezzando dolcemente il mio viso e soffermandosi sulla nuca, come le piace tanto (e a me certo non dispiace), e mark che stringe a se quella ragazza come avesse paura di perderla fra le lingue della notte, la pace e la soddisfazione sembrava aver colmato qualsiasi vuoto dentro di noi. Chi adagiato sui divani, chi sulle comode poltrone io steso sul soffice tappeto di lana scura, caldo e rassicurante, impegnandomi nell’occupazione che più mi soddisfa (no...non grattarmi la pancia J ) mordicchiare l’orecchio e il collo della mia compagna, tutto sembrava perfetto... Poi Paul, il solitario, inizia a parlare con la sua voce lenta e sicura, troppo sicura, non sembra quasi la sua voce, ma la voce di un vecchio bardo, una voce sempre più ipnotica... ............ La luna occhieggiava fra le basse nubi sopra la piccola valle, sembrava che l’argento di quel celeste disco volesse trovare una via di fuga per non restare intrappolata in quella coltre grigia e insignificante, per illuminare brevi spicchi della città libera, fra i borbottii di Seneca, il canterellare della fontana della sacra acqua e lo strusciare delle pergamene dello scriba intento a carpirne il recondito segreto più che a copiarne i contenuti. Io ero assorto in meditazione, come spesso mi accade anche oggi, davanti ad un pesante tavolo di quercia stagionata alla penombra di una delle tante sale di lettura, con l’inquietante presenza dello stregone Valik, che per una volta sembra meno ferreo e terribile del solito, intento a rimuginare chissà su quale devastante formula magica, solo lei, la luna mi faceva compagnia sbucando da una piccola feritoia, sotto l’ultimo scaffale, al posto di un tomo che stranamente non si trovava al suo posto. La mancanza di un libro era cosa strana in quel luogo, lo stregone non permetteva a nessuno di portarne via dalla stanza, com’era strano che io mi fossi messo a curiosare un libro di stregoneria accanto all’immancabile tomo delle leggende che da sempre mi ha fatto compagnia, non ero un tipo tanto socievole al tempo, forse troppo preso con i miei dubbi e le mie responsabilità o forse ancora non avevo trovato un’anima che mi completasse fino al punto di sentirmi immerso nei sentieri dell’assoluto, una frase che spesso mi ripetevo per fugare le domande che spesso si affacciavano alla mente. Successe tutto in un attimo, mentre il raggio d’argento s’interruppe ed i miei occhi si alzarono non una nube ma due gemme del color dell’ametista mi fissavano curiose dall’altra estremità del tavolo, rimasi per qualche secondo come abbagliato da tanta bellezza e dall’intensità unica di quello sguardo, che nella penombra era come un faro nella tempesta. Come tutte le volte che mi ritiravo nella biblioteca ero vestiti di semplici abiti senza maniche e di cotone leggero, comodi stivali di cuoio e nessun arma, solo il medaglione col sacro fulmine racchiuso indicava la mia missione, come sempre appoggiato sul petto sotto i vestiti, e sicuramente la fanciulla che mi stava davanti pensava di aver trovato un fratello nell’arte. Era tempo che non trovavo uno sguardo interessante nei miei viaggi, ed ero abbastanza preparato da sostenere una conversazione anche di magia, fino ad un certo livello ovviamente, non volevo proprio staccarmi da quelle due gemme che mi avevano riscaldato il cuore. La ragazza si avvicino’ ed inizio’ a guardare il tomo si stregoneria che avevo accanto, nei miei studi avevo imparato a comprendere una buona parte dei dialetti del mondo, ma non ero preparato a ciò che stava per uscire dalle labbra di quella creatura, drow, un elfa nero mi stava parlando. Non che non n’avessi conosciute prima, anche in città, anime che avevano trovato la via per la lasciare le caverne e vivere nella città libera, ma mai una era cosi’ bella, ne il mio cuore cosi’ restio a questa razza si era mai colmato di tutte quelle sensazioni che non si possono spiegare. Passato un momento le risposi in perfetto elfico scuro, già come si dice per sconfiggere un nemico devi conoscerlo bene, e cosi’ avevo fatto. La sua pelle nera come l’ossidiana e vellutata come un orchidea mi sfiorava e per un momento colsi nei suoi occhi tutto quello che avevo sempre cercato, iniziammo cosi’ come se ci conoscessimo da tempo a conversare sull’energia e sulla materia, sulle stagioni e sul prezzo del pane, qualsiasi argomento era interessante, non avevo mai provato niente di simile, poi dalle scale sotto di noi una debole luminescenza inizio’ a diffondersi per la sale, in un attimo con un sorriso quella figura spari` come se non fosse mai esistita, e io rimasi solo, di nuovo solo sempre assorto nei miei pensieri. Da quella notte passarono diversi giorni, ed avevo quasi paura a tornare nella biblioteca, mi pareva innaturale, strano, forse avevo solo paura di non trovarla più, avevo solo paura che fosse un sogno, e non volevo svegliarmi. Poi durante uno dei miei viaggi mi fermai a riposare sotto una grossa quercia, sulle montagne a nord della capitale, era autunno ma per uno cresciuto sui picchi innevati era ancora caldo, e non indossavo metallo addosso, grazie ad un potente alleato potevo magicamente prepararmi per la battaglia in brevissimo tempo, solo una semplice spada inguainata stava al mio fianco mentre a piccoli bocconi mangiavo una pagnotta... Una voce mi desto’ dal mio torpore, quasi un urlo, sotto la rupe che mi ero scelto come giaciglio qualcosa stava succedendo, corsi nel punto migliore per osservare, e la vidi, era ancora più bella di quella notte, il suo corpo snello ed armonioso non era avvolto dalla cappa d’ombra che fa da scudo alla sua gente dai raggi del sole, era splendida, il mio cuore si riempi’ di gioia, ma la felicita’ si sa’ ha breve durata, un gruppo di avventurieri stava avvicinandosi a lei, con le lame sguainate, in un attimo tutti i meccanismi che fanno ciò che sono all’unisono intervennero, quando la prima lama ferì quel corpo la furia del tuono era già in battaglia, avevo trovato qualcosa che da sempre cercavo, non me lo avrebbero portato via, mai, il gruppo si fermo’ appena mi vide, leggevo l’incredulità nei loro sguardi, un grosso guerriero mezzo gigante, un arciere elfico una pretessa ed un mago gnomo mi guardavano, con l’esperienza accumulata in anni di battaglia inquadrai subito la loro esperienza, era un buon gruppo, anche molto potente, ma non sarebbero sopravvissuti alla mia furia, era un gruppo mercenario, ma non malvagio, non riuscivo a capire perché l’avessero attaccata. Quando mi voltai era sparita, e con lei il gruppo d’avventurieri, nella mia mente un turbinio di pensieri e di domande senza risposta, e quegli occhi, gli occhi che avevano stregato la mia anima. In tutta la contea si parlava da tempo di un’invasione di bestie e di demoni che dal cimitero della città nuova e dagli abissi iniziavano a compiere piccole scorrerie, classiche avvisaglie di un’offensiva in forze massicce, ed io come sempre percorrevo i limiti estremi delle terre conosciute alla ricerca di qualsiasi cosa possa essere utile, ma in realtà per cercare quella donna, e una notte la trovai stesa in un bosco dove da sempre mi fermavo, alla luce della luna stava leggendo quel libro di leggende, e qualcosa in me prese forma, non era la magia ad averla attratta verso di me, ma le leggende, che cosa strana la vita avevo perfino pensato di dover sostenere quella conversazione di magia ed invece le vecchie storie erano quelle che la interessavano, storie di miti e di draghi, e come nella biblioteca non ci furono bisogno di parole, passammo la notte insieme come mai era stato per nessun essere vivente, eravamo una solo cosa, un solo corpo, poi quando la luna ed il sole si abbracciarono in un tenero addio inizio’ a parlare con una voce cosi’ musicale e perfetta che pareva un coro d’angeli in festa, non riuscivo ad afferrare in nocciolo del discorso, parlava di razze, di usi e di costumi, di destini, di come la luce l’avesse avvolta in questi giorni e di come si fosse sentita in pace con tutto il creato, ancora steso le ultime parole che pronuncio’ mi colpirono come una lancia al petto.... " quello che fato per me prescrisse non può essere più cambiato, faro’ ciò per cui negli albori del tempo sono stata creata " e mentre una lacrima le rigava la guancia mi trovai imprigionato in un selva invalicabile, sentii solo la parola...amore, e un colpo sordo come un enorme battito d’ala, e mi trovai di nuovo solo, imprigionato e gridare un nome con non conoscevo... Vagavo per la selva, era come se non fossi vivo in quei tempi, il dolore per qualcosa che ancora non capivo era cosi’ forte ma farmi trascurare qualsiasi altra cosa, poi entrato in una radura vidi un gruppo di lupi che circondato stavano per sbranare un puma, senza pensare intervenni e li feci fuggire, dal quel giorno diventammo inseparabili, ed una volta mi venne alla mente la chiave che mancava per comprendere, mentre riposavo il puma scatto’ verso un cespuglio e torno’ con un coniglio morto fra le fauci...già il puma che si comportava come un cagnolino con me era un predatore, era nella sua natura attaccare e non per questo era malvagio, com’era nella natura di tante creature attaccare le loro prede, e nella mia difendere le genti da questi predatori... Lanciai un messaggio attraverso il mio pensiero ed un fratello ed in quattro parole riuscii a farmi impietrire dal dolore, demoni e draghi avevano sferrato un attacco massiccio su tutte le città del regno, aiutati da una schiera di rinnegati erano entrati perfino nella biblioteca per essere respinti dallo stregone Valik, ma morte e distruzione erano scesi su tutti noi. Caddi in ginocchio ed iniziai a pregare, non mi accorsi nemmeno di essere sulle pietre sacre nel bosco del tempo, non mi apparve uno degli dei della luce, ne la dea ed il dio dei quali ero spada in terra, ma uno strano vecchio, dagli occhi stanchi e dalle profonde rughe... In un attimo conobbi il dilemma, seppi che potevo vivere in pace per sempre in questa foresta con la donna che amavo, che non avrei più dovuto uccidere nessuna creatura, per sempre nella gioia, un paradiso, ma a quale costo... il mondo in schiavitù, la luce del sole avrebbe riscaldato solo questa selva e nessun altro essere vivente avrebbe gioito del suo calore, ed iniziai a piangere, un pianto che caldo mi scendeva sul viso, un paladino che piange, un cavaliere del tuono che piange, si perché come Lei avevo scelto, avevo scelto ancora una volta per la luce e per la spada, evocai il potere del tuono e nel tempo di un fulmine arrivai sul campo di battaglia, dell'ultima battaglia, e la vidi, ormai l'avrei riconosciuta anche da cieco, l'enorme drago nero che volava nelle schiere delle tenebre aveva due gemme color ametista al posto degl'occhi dorati degli altri draghi, capii che mi aveva rinchiuso per salvarmi la vita, ma non potevo morire quel giorno, non finche’ il mio compito non era concluso, con una sola parola mi rivestii dei sacri paramenti ed in un attimo in armatura non ero più Athor, ero solo la lama bianca, ero uno strumento di morte, la morte che porta la vita, e Soulfinder colpiva, colpiva e falciava via demoni, draghi ed i suoi alleati, i miei compagni lottavano al mio fianco, a spalla col Gran Maestro distruggevo, distruggevo, distruggevo. Mai la furia s’impadronì di me cosi’ a lungo, il mio sangue si mischiava con quello delle mie prede, già ora il predatore ero io, ma non sentivo l’ebbrezza della caccia, solo il disgusto della morte. Poi la vidi, mi manco’ il cuore per distruggere il mio cuore ancora una volta, per ucciderla, e trasgredii per la prima volta ai miei principi, evocando il potere della staffa che il maestro dei chierici mi aveva affidato la portai in quel bosco, li le forze mi abbandonarono, ormai ferito a morte mi distesi su quell’erba profumata, con un ultimo sforzo resi la mia spada al sole che l’aveva forgiata e fra le sue braccia lasciai questo mondo, e mentre l’ultimo soffio di vita abbandonava le mie membra una bimba mi guardava accanto al mio amore, una piccola elfa nera, ed il ciclo si concluse, una morte per una vita, come da sempre avviene e con un bacio mi spensi... Mi sono risvegliato ora, il mio nome e’ ancora Athor ma poco importa, il mio cuore, il mio onore e la mia anima sono di nuovo al servizio della luce, e di nuovo vago per il mondo per cercarla... Questa e’ la storia di Athor, nato in un tempo che mai tornerà, io signore dei tempi l’ho narrata per come e’ avvenuta, ora un ultima strofa che ti voglio raccontare... La sua vita si spense in questo mondo, e si ridesto’ in un altro, un altro mondo da salvare, un altro mondo per cui soffrire... Ma ricordati o viandante che quando c’e` la luna piena sulla collina in cima al bosco un uomo ed una donna camminano insieme, ed il creatore ha già deciso, quando il fato sarà compiuto Athor potrà finalmente riposare, vivere con al sua donna... vivere la sua vita...e da quel momento se il tetro manto di tenebre soffocherà ancora le risa di un bambino lui sarà la’, per sua iniziativa, perché la luce ed il fulmine lo guidano, e Soulfinder nella sua mano squarcerà ancora il buio... per sempre... Apro gli occhi, fra le tende fa capolino un timido raggio si sole, che strano ci siamo addormentati tutti, proprio tutti, beh... ora un bel caffè per iniziare la giornata, certo che ho dormito proprio bene... e` proprio vero noi poveri mortali abbiamo proprio bisogno di sognare... per andare avanti J